Michele De Lucchi
Designer e Architetto
di
Paolo Ruggiero
Ottobre
2007, per Casa Trend Magazine
Il volo creativo di Michele De Lucchi, spiccato dal gruppo "Memphis" di Ettore Sottsass («che fortuna farne parte!»)
è arrivato a oggi librandosi lieve come un origami, soffiato da correnti di luce. Un sorvolo senza scalo sugli allori
conquistati: il Compasso d'oro nel 1989 per la Lampada Tolomeo, la personale su invito del Centre Pompidou nel 2003, tra i tanti.
«Ascoltatemi! Io sono un designer. Io sono pagato perché voi possiate vivere nel bello - nel comodo - nel funzionale - nel colorato».
Era il 1973, il De Lucchi-pensiero pennellato così, poche parole come accenni di matita: ironia, sguardo alto all'orizzonte,
onestà intellettuale: «Io sono con voi alla ricerca dell'equilibrio e dell'armonia tra il bello artistico e il bello naturale». Naturale, ecologico: fin troppo facile, oggi.
Ma De Lucchi c'era arrivato prima di ogni eco-moda (o eco-business) suggerendo l'idea che un oggetto di design potesse rappresentare
i valori legati non solo alla bellezza e intelligenza delle cose, ma anche e soprattutto al potenziale di riutilizzo in esso racchiuso:
«Si può con semplici dettagli, con poche cose fatte bene e senza dispersione conquistare nuove attenzioni
e nuove sensibilità sul significato degli oggetti e favorire lunga vita alla materia».
Inaugurando la "Produzione privata" De Lucchi si inventò un laboratorio dove sperimentare una filosofia con calibratissimi progetti,
e ritrovare l'autenticità che il conformismo e la sclerosi del mercato a volte spengono.
Michele De Lucchi con Giancarlo Fassina
Lampada Tolomeo, Artemide, 1987
Un volo mai ovvio, quello di De Lucchi, creativo eternamente giovane che cita ricordi di scrivania con Castiglioni
(ripensarono assieme l'ostico oggetto "traliccio", su incarico dell'Enel), che plana dal progetto tascabile al grande intervento architettonico,
che materializza la sua barba da guru nei due studi di Milano e Roma.
Non potrebbe mai fare a meno dei propri computer ma ricorda con affetto il primo laboratorio a Firenze, pieno di rotoli di carta,
matite e appuntalapis, perché «mi è sempre piaciuto disegnare e le scelte più importanti della mia vita sono state molto influenzate da questa necessità».
Una necessità quasi febbrile, si direbbe.
Celebri infatti i quaderni che egli riempie da sempre con appunti, bozzetti, chiaroscuri a matita che certe volte
si staccano dal foglio e diventano materia, senza salti apparenti.
Andate a scoprire il suo sito. I quaderni sono lì, si può aprirli.
C'è anche una delle idee più recenti, la lampada Giona.
Prima matita, poi aquilone di luce sospeso sopra la testa, più leggero del suo disegno.
Michele De Lucchi con
Alberto Nason
Lampada Giona, Produzione privata, 2007